Da ragazzino m’imponevo di finire un libro anche se non mi piaceva. Da adulto m’imposi di interrompere la lettura di libri che non mi emozionavano.
Le prime pagine de Il mio filo rosso mi stavano facendo desistere. Poi, complice una notte insonne e la mancanza di altri libri sul comodino, mi sono addentrato nella lettura.
Il libro è caotico, pesante, scritto male. Ha però dei pregi.
L’autrice non si nasconde o almeno non sembra aver pudore quando ammette errori, contraddizioni, rimpianti. Questo elemento rende interessante la storia, se non la lettura, soprattutto paragonata a recenti operazioni editoriali dove anziane signore raccontano la propria vita senza svelare nulla.
Qui non vi sono rivelazioni sensazionali ma si ha l’impressione che chi racconta crede a quello che dice, racconta la propria verità.
Il secondo pregio è quello di assistere alle vicissitudini che portarono la famiglia Crespi alla perdita del Corriere della Sera. Perdita che l’autrice sembra ancora rimpiangere nonostante i molti anni passati ed il grande impegno profuso nel F.A.I. .
Il Corriere era come un blasone per i Crespi. L’ultima discendente sente ancora vivo lo strappo della perdita.
In questa parte del libro la narrazione diventa quasi avvincente con personaggi del calibro di Agnelli, Moratti e Rizzoli che fanno una figura pessima per non parlare di Montanelli, che volendo salvare il Corriere chiede di essere nominato direttore. Richiesta che verrà gentilmente accantonata dalla proprietà per ben due volte.
Infine il pregio maggiore della Crespi è il coraggio di mettersi in mostra. Leggendo si arriva ad ammirare l’impegno che la protagonista ha profuso in tutto quello che ha fatto.
Nella sua vita solo una cosa è mancata, un buon editor.
Demetrio Canale